Il Duomo

La grande Chiesa edificata su di un vasto terrapieno posto lungo il limite settentrionale del monte di Enna, ha pianta basilicale con tre navate e transetto. Originariamente doveva avere aspetto interamente gotico così come è testimoniato dalle parti superstiti dell’impianto aragonese. Oggi ad impreziosire la chiesa il terrapieno è affiancato su due lati da una imponente scalinata scenografica in pietra arenaria di Calascibetta dal bel colore dorato.
L’incendio che nel 1446 distrusse parte delle navate e il tetto lasciando indenni le tre absidi spinse le autorità ecclesiastiche e civili a chiedere a papa Eugenio IV un Giubileo di 7 anni per favorire la ricostruzione. Questo evento è ricordato dalla Porta Santa posta sul fianco del transetto, murata, incorniciata ai lati da un impianto gotico con colonnine i cui capitelli recano una teoria di foglie a grappa, che si innestano agli angoli in funzione di contrafforti e nello stesso tempo si traducono in un espediente decorativo, la cornice cordonata ha forma ad arco, decorata nella lunetta con decorazione seghettata superiormente chiusa da un edicola cuspidata.
I lavori si protrarranno nei secoli, prima per il consolidamento dell’edificio poi per la sua decorazione interna che lo renderanno molto diverso dall’originale struttura trecentesca di cui rimane solo la parte absidale esterna ed una delle absidi laterali. Fu commissionato allo scultore fiorentino Raffaele Rosso il rifacimento del piliere in cui appose data e firma, poi fu chiamato lo scalpellino Antonino Catrini da Ficarra che intagliò il quinto piliere, anch’esso datato e firmato e nel 1560 Giandomenico Gagini portò a compimento altri due pilieri con basi decorate da putti e grifi. Occorreva dunque ripristinare tutti i pilieri e venne chiamato l’architetto Jacopino Salemi che ridusse le proporzioni dei pilieri per una maggiore stabilità dell’edificio e disegnò il portale della porta laterale formato da quattro colonne rudentate, due per lato, con capitello corinzio in marna gessosa, e un timpano entro cui è inserito il gruppo scultoreo in marmo raffigurante San Martino che dona il mantello al povero. Nello stesso periodo Andrea Russo da Collesano venne incaricato di intagliare il tetto con l’ausilio di tornitori, sbozzatori ed intagliatori che lavorarono per 13 anni all’opera da lui ideata. Lo stesso Russo fornì e diresse i lavori per la realizzazione delle cornici e degli elementi decorativi dell’abside, e provvide alla creazione di una apposita cappella per il battistero chiusa da un cancello in ferro battuto.
Nel 1589 Scipione di Guido intagliò il coro, il palco dell’organo e la “Vara” della Madonna. A imitazione dell’opera di Scipione di Guido fu realizzato il palco della cantoria dall’intagliatore messinese Giuseppe Mazzeo. A Pietro Rosso, maestro stuccatore palermitano fu commissionato di decorare il catino absidale e gli archi. Ma le opere più significative di cui si dotò il Duomo sono i cinque dipinti collocati nell’abside centrale tra gli stucchi e opera del fiorentino Filippo Paladini. Tutte e cinque le opere esaltano la Vergine in un organico ciclo celebrativo; riconosciamo la Presentazione di Maria al tempio, l’Immacolata, la Visita di Maria a Elisabetta, la presentazione di Gesù al tempio e la Madonna Assunta.Nel 1589 Scipione di Guido intagliò il coro, il palco dell’organo e la “Vara” della Madonna. A imitazione dell’opera di Scipione di Guido fu realizzato il palco della cantoria dall’intagliatore messinese Giuseppe Mazzeo. A Pietro Rosso, maestro stuccatore palermitano fu commissionato di decorare il catino absidale e gli archi. Ma le opere più significative di cui si dotò il Duomo sono i cinque dipinti collocati nell’abside centrale tra gli stucchi e opera del fiorentino Filippo Paladini. Tutte e cinque le opere esaltano la Vergine in un organico ciclo celebrativo; riconosciamo la Presentazione di Maria al tempio, l’Immacolata, la Visita di Maria a Elisabetta, la presentazione di Gesù al tempio e la Madonna Assunta.

Intanto la torre campanaria rifatta dopo l’incendio nonostante i continui interventi di manutenzione probabilmente per la grandiosità e soprattutto per la pesantezza strutturale dell’opera crollò nel 1619 risparmiando gran parte della chiesa. A ricordo venne posta una scritta intagliata su di una trave in legno che così recita: Sustinuit Virgo Ruiturum a Culmine Tectum 1619. Si provvide a riedificarla una prima volta ma crollò nuovamente si disse per il peso della guglia rivestita in maiolica. Fu dunque progettato dall’architetto Clemente Bruno un nuovo campanile che rimase incompleto poiché ci si accorse che le vecchie fondazioni non consentivano l’altezza progettata. Allo stesso Bruno si deve il disegno dell’armadio presente nella sacrestia e intagliato dai maestri fratelli Ranfaldi, di notevole valore artistico i pannelli che narrano scene dell’antico e nuovo testamento in un linguaggio semplice. Il tetto del transetto fu eseguito nel 1659 da maestri catanesi diretti dal capo mastro Giovan Battista Caruso. Questo soffitto ligneo reca delle iscrizioni chiuse entro scudi che indicano quando l’opera fu realizzata. Il transetto venne completato con decorazioni a stucco su disegno del pittore ennese Vincenzo Trimoglie, dal maestro Giovan Calogero Calamaro da Nicosia. Nel 1672 il pittore Vincenzo Ruggeri consegnò 14 quadri, 12 narrano glorie di santi basiliani e santi ennesi, uno raffigura l’Assunzione della vergine l’altro l’Adorazione dei Magi.
Al secolo 700 risalgono le cinque pale attribuite al pittore fiammingo Guglielmo Borremans che rappresentano la Madonna del Piliere, i Santi Pietro e Paolo, Il Battesimo di Gesù e San Martino. L’ultima imponente opera decorativa riguarda la cappella in cui era custodita la statua della Madonna dietro il quadro della visitazione dipinto dal Basile, che si decise di rivestire di marmi colorati e per questo venne chiamato lo scultore Andrea Amato.
Il Duomo è sede della Confraternita Maria SS. Della Visitazione fondata il 20 aprile 1874 dal parroco priore don Carmelo Savoca per rendere giuridicamente valida la “Congregazione dei Nudi” che riuniva i portatori della Nave d’oro durante la festività del 2 luglio. Questo è il giorno della festa della Patrona della città, la Madonna della Visitazione, la città viene svegliata all’alba dal suono di 101 colpi di cannone cui segue la messa solenne. Nel pomeriggio il simulacro della Patrona montato sulla tradizionale “Vara” chiamata Nave d’Oro viene portato a spalla attraverso le strade del centro storico dal Duomo alla chiesa di Montesalvo. I confrati della Compagnia di Maria SS. della Visitazione, chiamati “Ignudi” vestono con un camice bianco suddiviso in due parti con i bordi merlettati, scapolare celeste in cui è ricamata l’effige della Madonna, mantella bianca. I portatori, in numero tradizionale di 125 e aventi diritto per linea ereditaria al posto, si contraddistinguono per aver legata di traverso una fascia dalla scapola al fianco di colore azzurro. Gli altri confrati portano la tipica mantella azzurra e tutti sono a piedi scalzi. Il simulacro è preceduto dalle statue di San Giuseppe, e di San Michele Arcangelo portati anch’essi a spalla e a piedi nudi. Arrivati nella zona Monte, dopo aver attraversato la città da un lato all’altro percorrendo anche stretti vicoli, avviene il tradizionale incontro tra il fercolo della Madonna e le statue lignee di Santa Elisabetta e San Zaccaria precedentemente prese dalla chiesa di Montesalvo e poste ad aspettare, e rimembrare nel gesto simbolico la Visita che Maria fece ad Elisabetta e che giustifica il nome “Visitazione” della Festa. Dopo la prima domenica in cui il simulacro è stato traslato nella chiesa di Montesalvo hanno inizio le cosiddette Lumine ovvero festeggiamenti dedicati per un giorno ad una particolare maestranza. Due domeniche dopo l’arrivo nella chiesa di Montesalvo il simulacro viene riportato nella chiesa Madre dove rimane esposto per un’altra settimana e poi riposto nella sua speciale cappella. Con questa funzione ha fine la festa.