Posta su di un alto terrapieno e collegata alla piazza da una imponente scalinata, si trova la Chiesa di San Cataldo. Furono i Normanni ad introdurre le figure dei Santi Cataldo, Martino, Leonardo, Eligio, che andarono ad affiancarsi a quelli latini e greci già presenti come Bartolomeo, Tommaso, Agata, Lucia Calogero, Cosma e Damiano ect. Da un documento Vaticano recuperato da Pietro Sella, sappiamo che la Chiesa di San Cataldo doveva pagare una decima pari a 20 tarì alla chiesa di Roma già negli anni 1308-1310. La cifra appare cospicua e ci fa comprendere come le rendite della chiesa siano state talmente alte da permettergli sia di pagare una così lauta tassa, sia di dotarsi di molte opere così come di provvedere ad un rifacimento della stessa intorno al Settecento per consentire ad un maggior numero di fedeli di partecipare alle funzioni religiose. L’originale Chiesa era anteriore al 1528, anno in cui padre Sigismundo Bongiovanni dota il campanile di un orologio poi sostituito nel 1662 da un altro orologio opera di Giovanni Battista D’Amato di Castel di Lucio. L’elevazione a parrocchia avvenne nel 1561, e poco dopo, nel 1595, viene eseguito il quadro del Santo eponimo ad opera di Giuseppe Albina (o Alvino), artista palermitano conosciuto come il “Sozzo”. Accanto alla tela di San Cataldo, riconosciamo “l’Assunzione” di Giovan Forte (o Fortis) La Manna firmata e datata 1636 e indicante nel parroco Parasporo il committente; la “Natività”, forse opera anch’essa del La Manna; la “Deposizione” di Ignoto (sec. XIX); la “Sacra Famiglia” attribuita a Saverio Marchese, pittore ennese; il “Battesimo di Gesù” del 1881 opera di Carmelo Giunta, pittore locale; il quadro del “Patriarca San Giuseppe” che Ignazio Di Vincenzo nel 1792 consegna al parroco Croce Varisano.
Nel 1749 iniziano i lavori di ricostruzione della chiesa che dovevano dapprima essere eseguiti seguendo il progetto elaborato dall’Architetto Andrea Amato che negli stessi anni operava al Duomo, ma che per la sua prematura morte venne sostituito dall’Architetto Ferdinando Lombardo a cui si deve il progetto attuale, sotto la direzione di Filippo Clemente e del mastro Vincenzo Alessandra. Il completamento della Chiesa avverrà definitivamente nel 1770, e nel 1771 verrà costruita la scala monumentale, che sarà smontata e rifatta nel 1850. La lungimiranza degli artefici dei rifacimenti e delle ricostruzioni ha permesso il recupero del fonte battesimale in marmo con coperchio ligneo attribuito a Domenico Gagini e risalente al 1572, così come un icona marmorea raffigurante i Profeti, gli Evangelisti e la Via Crucis, in basso l’ultima cena e in alto l’Ascensione. Intorno agli anni ’60 del secolo scorso, la Chiesa rischiò di essere abbattuta per favorire l’allargamento della Via Vittorio Emanuele. Il pericolo venne scongiurato anche se venne danneggiata la volta oggi scomparsa e il sovrastante tetto ligneo, che si provvide a rifare interamente sul disegno originale e che ha lasciato un segno nella muratura ancor oggi visibile. I lavori di risistemazione permisero di portare alla luce, attraverso uno scavo archeologico eseguito dalla Soprintendenza, le varie fasi di frequentazione dell’area. Furono indagati alcuni lembi murari pertinenti con molta probabilità ad un più antico edificio di culto con preminente funzione funeraria, ascrivibile ad un periodo fino al XV sec. come testimonierebbero le monete aragonesi ritrovate nelle tombe a fossa ricavate nella roccia deposte accano agli inumati e la vasta tipologia ceramica. Tracce della vecchia pavimentazione sono tutt’oggi visibili dietro l’abside e testimoniano l’innalzamento del livello di calpestio durante gli interventi di rifacimento.